Obama ed il rebus D.O.M.A.

Negli scorsi giorni una notizia abbastanza clamorosa è trapelata dalla Casa Bianca. La notizia ha avuto un’eco anche nel nostro paese ed è stata ripresa da svariati organi di stampa. Il presidente Obama ha ordinato al procuratore generale degli USA, Eric Holder, di non difendere più il “Defense Of Marriage Act” di fronte alla Corte Suprema. Molti sostenitori del matrimonio omosessuale hanno esultato, ma andiamo più nello specifico per vedere cosa comporta questo provvedimento di Obama e qual è al momento la situazione negli Stati Uniti. Il “Defense Of Marriage Act” è un provvedimento legislativo del 1996 che definisce il matrimonio negli Stati Uniti come una unione tra un uomo ed una donna. Il provvedimento venne approvato da una larghissima e trasversale maggioranza nel Congresso (342 i voti favorevoli alla Camera contro 67 contrati, 85 i voti favorevoli al senato contro 14 contrari) e firmato dall’allora presidente Clinton (foto), il quale rivendicò la firma nella campagna elettorale contro Bob Dole. Il “DOMA” fu il risultato di un lungo e laborioso dialogo tra le parti. I conservatori infatti volevano un provvedimento costituzionale che sancisse l’invalidità del matrimonio omosessuale ad ogni livello, Clinton invece riuscì ad arrivare a questo compromesso che, de facto, lasciava libertà ai singoli stati di decidere in materia. La questione della definizione di matrimonio entrò prepotentemente nella campagna elettorale del 2004. La Corte Suprema dello stato del Massachusetts nel maggio del 2004 dichiarò non conforme alla costituzione del “Bay State” il divieto di matrimonio per gli omosessuali. A livello statale la questione creò un braccio di ferro tra l’allora governatore repubblicano Mitt Romney e la maggioranza democratica del congresso statale, braccio di ferro vinto da quest’ultima ce rifiutò di approvare un provvedimento costituzionale. L’avvenimento riaccese il dibattito a livello federale, un dibattito che il DOMA aveva assopito. Il candidato democratico, John Kerry, senatore proprio del Massachusetts, si trovò in imbarazzo e dichiarò la propria personale opposizione al matrimonio omosessuale, al contempo però si dichiarò contrario ad un provvedimento costituzionale “ad hoc” e sostenne il diritto dei singoli stati sulla legislazione. I repubblicani, a seguito della pronuncia della corte del “Bay State” invece cominciarono a lavorare in questo senso, presentando per due volte nel giro di pochi mesi un provvedimento di questo genere al Congresso. In ambo le votazioni i repubblicani non riuscirono a raggiungere la maggioranza qualificata per un provvedimento costituzionale, e la questione sembrò terminare lì. Nello stesso tempo gli attivisti conservatori cominciarono a promuovere referendum in giro per gli stati con lo scopo di bandire i matrimoni gay. L’iniziativa referendaria ebbe successo, tant’è che tutti gli stati in cui era possibile fare referendum in quel senso approvarono il bando ai matrimoni gay. Nella campagna del 2008 la tematica rimase praticamente ignorata a livello federale, altre erano le “issues” e la posizione personale di Obama e McCain era praticamente identica. Entrambe infatti si dicevano contro il matrimonio omosessuale, ma allo stesso tempo contrari ad un provvedimento costituzionale a livello federale (A suo tempo il voto contrario di McCain fu decisivo per il fiasco dell’emendamento costituzionale NDA). I matrimoni omosessuali però divennero un tema caldo a livello statale. La corte suprema della California dichiarava incostituzionale il divieto dello stato sui matrimoni omosex. In conseguenza della pronuncia della Corte Suprema venne indetto un referendum costituzionale in California che venne vinto di misura dai contrari al matrimonio omosex. Da quel voto emerse una profonda spaccatura nell’elettorato democratico, quello stesso elettorato che nello stesso giorno aveva dato ad Obama il 61% dei voti nel Golden State. Le minoranze etniche che avevano trascinato Obama alla Casa Bianca si rivelavano allo stesso tempo molto conservatrici sul tema del matrimonio. In particolar modo gli afroamericani risultavano estremamente tradizionalisti sulla tematica. Difatti il 70% degli afroamericani si espresse a favore dell’emendamento costituzionale anti-matrimoni gay. Poche settimane prima invece la Corte Suprema del Connecticut imitava quella della California e la governatrice repubblicana Mary Rell non fece molte resistenze, dicendosi contraria alla decisione della Corte, ma allo stesso tempo contraria ad iniziative referendarie sul modello californiano. Nei primi mesi del 2009 una piccola valanga di legalizzazioni arrivò a livello statale. Dapprima nell’Iowa, anche qui a seguito di un pronunciamento della Corte Suprema statale, poi toccò al Vermont, al Maine ed al New Hampshire. Negli ultimi tre stati però, per la prima volta, il processo avvenne non a seguito di un pronunciamento giudiziario, bensì esclusivamente per via parlamentare. Alcuni esponenti conservatori commentarono non del tutto negativamente la legalizzazione per via parlamentare, sostenendo che se proprio deve avvenire, almeno che avvenga tramite i rappresentanti democraticamente eletti e non tramite attivismo giudiziario. Dopo questa ondata di legalizzazioni, nonostante l’estrema freddezza di Barack Obama, la strada sembrava in discesa per i matrimoni omosessuali, ma a Novembre 2009 gli attivisti gay presero ben due docce fredde. La prima arrivò dal Maine dove, contrariamente a quanto prevedevano tutti i sondaggi, un referendum abrogò la legge che istituiva i matrimoni gay. La seconda arrivò da New York dove, dopo un dibattito infuocato, il senato statale affossava i matrimoni gay grazie alla ribellione di 8 senatori democratici che votarono con i repubblicani. Tutto finito? No, in California il dibattito torna rovente con un pronunciamento di un giudice federale che ammette il ricorso degli oppositori, ricorso che potrebbe ora giungere fino alla Corte Suprema degli USA. Dopo l’iniziale clamore però il ricorso è finito nel dimenticatoio. La corte d’appello federale ha bloccato l’ordinanza e sta sostanzialmente prendendo tempo senza ancora aver fatto capire le proprie intenzioni. Scongiurato, almeno per il momento, uno scontro nella Corte Suprema federale fra i giudici conservatori ed i giudici liberal, arriva la mossa di Obama. Da oggi in poi, qualora arrivasse un ricorso contro il D.O.M.A. di fronte alla Corte Suprema, il procuratore generale degli Stati Uniti non prenderà più le difese del provvedimento. Ciò però non da in automatico la vittoria ai liberal, qualora un ricorso arrivasse di fronte alla Corte Suprema, anzi. Oggi i conservatori sono in maggioranza nel massimo organo giudiziario americano, e l’interpretazione letterale che la giurisprudenza conservatrice da della costituzione americana (contrapposta a quella interpretativa della giurisprudenza liberal che ha prodotto negli anni ’70 l’affirmative action e l’aborto), rende assai difficile pensare che il massimo organo di giudizio possa accogliere un ricorso in merito, anche senza la difesa d’ufficio del procuratore generale. Allo stesso tempo però i conservatori per coerenza ideologica, e per le pressioni del giudice moderato Kennedy, dovrebbero semplicemente limitarsi ad imitare la Corte Costituzionale italiana, ovvero risponderanno semplicemente “non è nostra competenza” a chi presenterà ricorsi in merito, confermando lo status quo. Finché quindi non cambierà la composizione ideologica della Corte sarà difficile sbloccare lo stallo a livello federale. Se la situazione federale è quindi sostanzialmente bloccata, a livello statale è in evoluzione. Vediamo i terreni “caldi” nei singoli stati, ricordando che ad oggi in 45 stati su 50 il matrimonio gay è vietato e che tutti i referendum finora tenuti a livello statale hanno dato sempre lo stesso esito, ovvero esito contrario a matrimonio omosessuale

MARYLAND

Pochi giorni fa il senato del Maryland ha approvato la legalizzazione dei matrimoni gay. Il margine è stato però ristretto ed in campo democratico ben 10 senatori hanno votato contro. La palla ora passa alla camera dove l’approvazione dovrebbe essere scontata visto l’amplia maggioranza democratica, anche qui però si prevedono numerose defezioni. Il governatore democratico O’ Malley ha promesso la propria firma sul provvedimento qualora passasse. La legalizzazione nel Maryland ha un forte valore simbolico dato che il “Free State” fu il primo a vietare esplicitamente i matrimoni omo-sex. Le leggi del Maryland però sono molto liberali in materia di referendum, e a novembre probabilmente ci sarà il referendum in merito. Il Maryland è fortemente di sinistra, ma le minoranze etniche compongono il 40% della popolazione dello stato. In particolar modo gli afroamericani rappresentano il 30% della popolazione. Essendo le minoranze etniche fortemente tradizionaliste è possibile quindi prevedere un nuovo “stop” alle nozze gay per via referendaria, anche se i sondaggi sembran dire il contrario.

NEW HAMPSHIRE

Le elezioni di novembre, pur confermando il democratico John Lynch come governatore, hanno dato ai repubblicani maggioranze bulgare in ambo i rami del parlamento statale, maggioranze superiori ai due terzi, la quota necessaria a superare il veto del governatore. I legislatori repubblicani, pur confermando la priorità della crisi economica nell’agenda politica, non intendono cedere sull’abrogazione dei matrimoni gay. Se non ci saranno defezioni in campo repubbicano, probabilmente i matrimoni gay nel New Hampshire subiranno uno stop

IOWA

La sentenza della Corte Suprema non è piaciuta agli abitanti dell’Iowa, stato rurale e da sempre abbastanza conservatore su certi temi. Dopo le elezioni di novembre i repubblicani controllano il governatore e la camera statale ma non il senato, dove i democratici hanno mantenuto una lievissima maggioranza , mentre tre dei giudici che hanno emesso la controversa sentenza hanno perso il proprio seggio. Molto dipenderà dalla compattezza dei democratici al senato, dove lo scarto sui repubblicani è di soli due voti. Bastano due defezioni in campo liberal, e pure l’Iowa ritornerà al divieto.

RHODE ISLAND

Finora il veto del governatore repubblicano Carcieri ha prevenuto qualsiasi tentativo di legalizzazione. A novembre però il governatore è cambiato, al posto del conservatore Carcieri c’è l’indipendente Lincoln Chafee. Già quand’era senatore repubblicano Chafee sorprese molti, esprimendosi a favore dei matrimoni gay. La posizione di Chafee non è cambiata, ed ha assicurato che, qualora il parlamento approvasse una legge in merito, lui la firmerebbe. Data la grave crisi di bilancio dello stato, è però difficile prevedere quando la legislatura avrà il tempo di occuparsi della tematica. E’ comunque molto probabile un provvedimento in tal senso entro la fine del primo mandato di Chafee.

CALIFORNIA

La polemica nel Golden State è sempre attuale. Un tentativo di ripetere il referendum è stato fatto quest’anno, ma non è stato raccolto il numero di firme necessario. Si ritenterà nel 2012.

DELAWARE

Le pressioni sul parlamento statale sono cominciate, e sono molto forti. Per il momento si parla solo di unioni civili e non di matrimoni, ma viste le buone maggioranze di cui i democratici godono nel congresso statale, e l’impossibilità di presentare referendum in merito, è possibile che nel giro di pochi anni si arrivi direttamente al matrimonio. Probabile legalizzazione nel giro di qualche anno.

In sintesi, il provvedimento di Obama cambia poco o nulla. Semplicemente da un segnale all’opinione pubblica più liberal. Un segnale che però può rivelarsi un boomerang dal momento che, ogni volta che i cittadini americani si sono espressi nelle urne, l’han sempre fatto in una direzione ben definita.

Giovanni
Tags: