Economia, Finanza e default. Taenia solium e Vibrio cholerae.

Giuseppe Sandro Mela
Con l’approssimarsi del default italiano ed europeo, o di un qualcosa che eguale nella sostanza ne varia soltanto per il nome, sembra stia aumentando il numero delle persone sempre più disposte ad interrogarsi sul come sia potuto diventare possibile un fatto di tale enormità, che porterà l’estinzione dell’Europa.
                Nella sua scheletrica essenza, da un rapporto debito/Pil del 36.1% nel 1965 si é rapidamente passati al 41.1% nel 1970. al 59.5% nel 1980, e si è superato il 103.1% nel 1991. La spesa pubblica aveva superato quella fatidica quota del 40% sopra la quale non può esistere sviluppo. Gli ultimi venti anni sono la storia di una situazione altamente metastabile, che un qualsiasi evento poteva far cadere da un momento all’altro. Ad oggi in Europa circolano circa 660,000 mld di derivati.
                In questo post ci si propone di andare alla radice del problema: di sviscerarne l’eziopatogenesi piuttosto che relazionare sull’andamento clinico che ha portato a questo stato di irreversibile coma socio-economico.
                Il concetto di giustizia.
                Per giustizia si intende «il voler rendere a ciascuno il suo».
                Si configurano quindi un attore, un’azione ed il ricevente.
                Poiché si considerano due o più persone tra loro interagenti, ne consegue che esse vivono ed operano all’interno di una qualche collettività. Perché essa possa sussistere nel tempo servono almeno due requisiti: una comunità di intenti volti al conseguimento di certi fini ed una ragionevole concordia interna. Quest’ultima risulta essere garantita solo se tutti i membri si rispettano tra di loro e non fanno agli altri quello che sgradirebbe fosse fatto a loro stessi. Il rispetto di questi due canoni permette di preservare nel tempo la collettività e, nel caso, di rimediare prontamente ad eventuali squilibri che si fossero transitoriamente determinati per qualsivoglia causa.
                L’attore é un essere definito ed identificabile nella sua concretezza di ogni singolo caso: la collettività, un suo sotto-insieme omogeneo, oppure una singola persona.
                L’azione é ripartibile in due fasi successive: il  volere” ed il “rendere“.
                Il volere presuppone l’intelligenza che percepisce la realtà in modo proprio, oggettivo, e che vi ragiona sopra in modo coerente, ossia senza incorrere in contraddizioni. Quindi la mente sottopone al libero arbitrio, alla volontà, le possibili risultanze del pensato, da cui emergono diverse opzioni da seguire. Nell’elaborare le opzioni, la mente dovrebbe analizzare simultaneamente i vantaggi e gli svantaggi immediati e futuri. L’acquisto di un immobile comporta una spesa immediata di compra ed una futura di manutenzioni, mentre i vantaggi saranno soltanto futuri, nei termini di godimento del bene e, si spera, di sua rivalutazione nel tempo. Il conto deve essere fatto con cura.
                Il criterio di valutazione non é però meramente economico. Se ad un godimento immediato conseguisse una catastrofe futura, quest’ultima evenienza dovrebbe essere valutata con grande attenzione. Qualche esempio potrebbe chiarire meglio: contrarre un debito rende immediatamente disponibile una liquidità, ma presuppone il pagamento degli interessi e la restituzione a scadenza del prestito. Ovviamente, se il prestito superasse una certa entità, pagamento degli interessi e restituzione a scadenza potrebbero risultare impossibili. Il vantaggio immediato non sembrerebbe giustificato in base al fallimento futuro. Un’ora d’amore contraendo l’Aids per tutta la vita non sembrerebbe proprio valere la candela. Sarebbero scelte sprovvide.
                In molte situazioni l’effetto immediato oppure quello futuro contrastano con i canoni di convivenza della collettività. In questo caso, il rispetto dei canoni fa aggio su qualsiasi tipo di beneficio immediato o futuro: l’obbligo a rispettare questi canoni prende nome di “dovere“.
                Senza volontà non si concretizza nulla di razionale. Ma l’agire volontario e consapevole, caratteristica unica ed irrepetibile dell’essere umano, postula la paternità del percepito, del pensato, del voluto: la persona si assume la responsabilità delle sue azioni, delle scelte che ha fatto volontariamente, e delle conseguenze che ne deriveranno.
                Se l’azione persegue il bene maggiore – sia esso immediato anche se quasi di norma é futuro – ovvero soggiace ai canoni di convivenza della collettività, é detta essere morale ed etica. La morale considera l’intenzione dell’attore, ossia del giudizio da darsi sull’azione così come era stata concepita e voluta in buona fede, l’etica invece identifica e valuta ciò che pertiene la vita della collettività. Morale ed etica, non morali ed etiche: in una pluralità morale ed etica avverrebbero contraddizioni, segno certo di errore.
                Il rendere implica il fatto che ci sia una qualcosa, materiale od immateriale, di cui l’attore si trova a poterne disporre, e che percezione e ragionamento indichino non appartenergli, non essergli proprio. Se un qualcosa non ci appartiene, apparterrà bene a qualcun altro. Il rendere altro non è che reintegrare questo qualcosa a colui cui apparteneva e tuttora appartiene. E’ il togliere il deprivato dallo stato di deprivazione. Quindi questa é un’azione coerente con i canoni della collettività e, conseguentemente, è un dovere.
                Resta infine il ricevente. Per essere correttamente definito come tale, occorre che sia evidente e logicamente dimostrato e dimostrabile che il qualcosa da rendere era ed é di sua pertinenza, uso o proprietà intrinseca. E’ evidente che il ricevente svolge un ruolo passivo nel concetto di giustizia. Il dirittodel ricevente ad essere reintegrato del suo é configurato dal dovere a rendere dell’attore. Il diritto proprio si concretizza solo nell’adempimento dell’altrui dovere, altrimenti rimane una pia illusione, vano enunciato utopico.
                Attenzione. Una cosa è il concetto giuridico di proprietà, ossia di quel diritto giuridico reale che ha per contenuto la facoltà di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo di qualcosa, oppure quello di possesso, ossia il semplice fatto di poter utilizzare e disporre di qualcosa. Una cosa del tutto differente è il concetto di proprietà secondo giustizia. Il concetto di giustizia é meta-giuridico: un corpo giuridico legislativo-normativo potrebbe benissimo definire un diritto intrinsecamente ingiusto. Quindi, il concetto di proprietà secondo giustizia é una categoria mentale sostanziale e, come tale immutabile nel tempo, mentre le leggi positive variano secondo opportunità o, fin troppo spesso, convenienza ed arbitrio.
                Un esempio per spiegarci meglio. Le leggi del 1927di espropriazione dei beni dei Kulaki in Ukraina, oppure quelle qualche anno dopo nei confronti degli Ebrei in Germania, erano legalmente valide a tutti gli effetti, ma intrinsecamente ingiuste.
                Di fronte alla evidente discrepanza tra il dettame di legge e gli elementari criteri di giustizia si dovrebbe sempre seguire questi ultimi. Comportamento che spesso si configura come eroico, perché chi promulga le leggi ha sempre il potere per farle rispettare, ed il grillo parlante venne schiacciato contro il muro.
                Adesso possiamo trarre una prima importante deduzione.
                Non esiste giustizia se non nella verità e, simultaneamente, non esiste verità cui non segua giustizia.
                Nulla come l’ingiustizia ama ammantarsi di legalità. Legalità che, per essere sostenuta, obbliga a negare sia l’evidenza dei fatti sia a distorcere i ragionamenti che la corroborano. La legalità sostanzialmente ingiusta si basa sulla menzogna e sulla bugia. I ragionamenti sono dei veri e propri sofismi, pieni di contraddizioni, e questi sono la negazione della verità. Spesso è difficile riconoscere un sofisma. Però, quasi invariabilmente esso é un ragionamento non preceduto dalla definizione dei termini usati, il cui contenuto logico varia nella concatenazione delle argomentazioni. Altrettanto spesso il sofisma é basato su una verità parziale, inconfutabile quindi, ma assolutizzata, e così conflittuale e contraddittoria nei confronti delle parti omesse. Invariabilmente il sofisma presenta una lunga serie di contraddizioni interne e nei confronti dei dati di fatto. Non solo: menzogna reclama menzogna. Quando la prima menzogna vacilla diventa necessario puntellarla con un’altra susseguente menzogna e così via, fintantoché questo castello di carte implode e la verità viene a galla. Ma emerge sempre troppo tardi, quando il danno é già stato fatto.
                Possiamo anche trarre una seconda importante deduzione.
                Una società ingiusta non regge al vaglio del tempo: implode, e spesso infliggendo grandi sofferenze e lasciando grandi rovine e gravi ferite. Implode perché non riesce a sostenere il peso delle proprie contraddizioni. Implode perché il tentativo di occultare la verità non é un processo conducibile a tempo indefinito in modo apparentemente credibile. Implode perché economicamente instabile e non sostenibile. Implode perché miseria e sangue reclamano vendetta.
                In una società priva di morale ed etica o, peggio, che le ripudi come la attuale, privata di ogni freno la libertà impazzisce. Straripa dall’alveo dell’etica e si trasforma in licenza: non avendo nulla da rispettare diventa una mera possibilità di. E’ il regno del più forte, che crede di potersi ergere indefinitamente sopra la giustizia.
                Similmente i diritti non controbilanciati dai relativi doveri impazziscono: proliferano sconsideratamente e disordinatamente, si auto-dichiarano inalienabili e sacrosanti, cercano di legalizzarsi ed istituzionalizzarsi per cercare di dare un’apparenza dignitosa ad interessi di vile e bassa bottega, quando non cercano di coprire e giustificare anche vizi impronunciabili.
                Senza morale ed etica tutto diventa possibile, purché lo si possa fare, se ne abbia la forza per imporlo. E’ quello che i sassoni denominano the power that be. I disonesti richiamano altri disonesti in una spirale di crescente ampiezza e potenza.
                Ma se ben ci pensiamo, i disonesti e gli immorali possono vivere e prosperare solo sotto la condizione di essere una minoranza dispersa in una larga massa di persone oneste e morali. In una collettività di ladri mancherebbe il loro pabulum, ossia il derubando. Più aumenta la loro concentrazione, più aumenta la possibilità che la collettività collassi. La tolleranza del sistema ha dei limiti. Quando gli immorali raggiungono la massa critica il sistema si disintegra. Arrivati a questo punto ogni bonifica risulta essere impossibile.
                Questa é la ragione per la quale non si rinviene nella storia una società ingiusta duratura nel tempo.
                Possiamo infine trarre anche una terza importante deduzione.
                Corretto ragionamento ed evidenza storica conducono ad enunciare che una società, una collettività, che non sia fondata sull’etica e sulla morale é destinata ad autodistruggersi e scomparire.
                Certo, nel corso del tempo possono evidenziarsi situazioni conflittuali contingenti, non consone con la giustizia e la dignità della persona umana, ma pur sempre redimibili sulla base della stessa, pur che esista la volontà di applicarla. E’ un processo dinamico, ma è anche un equilibrio davvero molto delicato. La tolleranza del sistema è minima. Gli auto-assestamenti non sono la norma.
                Il significato del titolo di questo post è adesso evidente.
                Come tutte le azioni ed attività umane, anche la finanza e l’economia non possono impunemente sfuggire al dominio dell’etica e della morale. Anche esse sottostanno ai precetti di non uccidere (e si uccide anche depauperando persone e collettività), di non rubare (emettendo per esempio titoli senza una reale sottostante), di non mentire (i bilanci possono anche essere corrispondenti al vero). Certo, agire con giustizia non sempre consente grandi guadagni, ma garantisce il fatto che siano leciti.
                Solo giustizia ed onestà, ripetiamo, garantiscono stabilità al sistema socio-economico.
                Le contraddizione del nostro sistema finanziario ed economico appaiono ora evidenti, ma non è che non lo fossero state anche in passato, se solo si fosse voluto vedere. L’idea di costruire una società di diritti senza doveri é mera utopia: può reggere per qualche tempo, ma alla fine crolla. L’idea di poter ripianare un debito contraendone un altro ancora maggiore dilaziona nel tempo il redde rationem, ma alla fine il sistema crolla. E per malvagità della generazione che ne ha goduto i frutti truffaldini, la prole dei medesimi ne rimane oberata, come sotto un enorme macigno.
                Poche generazioni nella storia sono state così intrinsecamente egoiste da sopprimere la prole nascitura in una immane strage degli innocenti che non trova riscontro nella storia e che causerà la più severa crisi demografica dopo la carestia e la peste del trecento. Poche generazioni nella storia sono state così intrinsecamente egoiste da vivere spensieratamente di debiti che avrebbero lasciato sul groppone dei figli, che a parole dicono di amare, ma che nei fatti odiano di odio mortale. Abbarbicati al loro stipendio o pensione come mastini alla preda, guaiscono al primo tentativo di ridurli per favorire la loro stessa prole.
                Ma il giudizio morale ed etico è ancora più pesante e tagliente sui governanti che hanno promesso ciò che mai avrebbero dovuto promettere perché sostanzialmente ingiusto, al solo scopo di garantirsi la maggioranza con cui reggere lo stato. Il suffragio universale si é rivelato essere una delle più immense truffe della storia.
                La spasmodica ricerca di maggioranza e consenso genera una famelica voracità di deficit e di debito, che ha fatto chiudere dapprima uno, poi i due occhi, poi ha persino spinto banchiere e finanzieri, peraltro già ampiamente predisposti a ciò, a commettere ogni possibile tipo di furto e truffa emettendo i più fantasiosi titoli di una immaginifica finanza, pur di ricavar qualcosa per sé stessi e per alimentare ulteriormente il debito.
                Il comportamento da manuale del drogato, dell’ossesso, ed infine del delirante.
                Il primo grande segnale che preannuncia il crollo di un sistema é lo svanire della fiducia in esso. Si inizia dapprima a percepire, quindi a constatare, che il debitore, ossia l’emittente e garante dei titoli, non sembra proprio avere la minima intenzione né di continuare a versare gli interessi, né tanto meno di rifondere il debito contratto. Certo, a parole sbandiera la propria buona volontà con una ridda di affermazioni altisonanti quanto false e menzognere, perché alle parole non segue nessun fatto che le suffraghi. Questa contraddizione diventa giorno per giorno sempre più evidente e scaccia, ed anche in malo modo, la fiducia. Si attua quella che Rogoff chiama la «propensione al default». Gran brutta etichetta, questa: alla fine si può dire e fare di tutto, ma nessuno concede più fiducia a chi ha mentito troppo.
                A questo punto la sfiducia inizia a ragionare in termini di probabilità di default, e richiede tassi di interesse sempre più elevati, fintantoché l’equilibrio non si rompe ed il sistema crolla, trascinandosi sia il debitore fallito sia i creditori che speravano sprovvidamente di poter continuare a lucrarci sopra a tempo indefinito. Ambedue hanno severe responsabilità etiche e morali. Severe a tal punto da giustificare anche azioni di per sé immorali pur di fermarli per tempo: «la morte di uno può essere la salvezza di molti». Sarebbe la scelta del male minore.
                E qui sta la differenza che passa tra la Taenia solium (verme solitario) ed il Vibrio cholerae.
                Sono ambedue dei parassiti, e come tali condannabili e da combattersi. Però il verme solitario è intelligente, mentre il vibrione del colera è fesso. La tenia rubacchia all’intestino dell’ospite quel tanto che basta a vivere, e vivere abbastanza bene, ma non lo ammazza: si garantisce così una sopravvivenza duratura. Il vibrione del colera invece assale l’ospite in modo violento, deprivandolo di tutto ed inondandolo di tossine letali: il paziente muore, ma con lui muoiono anche tutti i batteri.
                Similmente, un sistema economico e finanziario riesce ad ammortizzare un po’ di ruberie, che potremmo chiamare attrito del sistema, ma soccombe quando si passano i limiti. E’ più prudente tollerare qualcosa di marginale che far nascere pericoli sostanziali. Meglio la tenia del vibrione.
                Quando ci saremo saziati di debiti e delle menzogne che li accompagnano e questa società sarà crollata, forse, si spera, in quei giorni rientreremo in noi stessi e ricostruiremo quel che si potrà avendo ben fermi nella mente l’etica e la morale, nel rispetto sostanziale della giustizia. Morale ed etica e tanto sano buon senso: non tolleranza dell’ingiusto e dell’illecito, ma sano buon senso. 
Ringraziamenti.
L’Autore sente il dover di ringraziare l’arch. Andrea Lenci per la lettura e correzione delle bozze e per avere segnalato un grossolano errore di trascrizione. Di grande utilità sono state le discussioni con il dr. Mario Callegari ed il dr. John Rickert (Lexington, Kentucky). Un ringraziamento particolare é dovuto al prof. Gianaurelio Cuniberti (Technische Universität Dresden): il suo prezioso criticismo e gusto di sintesi hanno permesso di chiarire molti passaggi e di ridurre a poche pagine un testo che inizialmente ne aveva oltre quaranta.
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