La Nuova Grande Depressione. Iniziano i fallimenti secondari.

Giuseppe Sandro Mela
                Tutte le crisi, ed a maggior ragione le depressioni economiche, si presentano con dei piccoli segnali premonitori, che diventano sempre più frequenti nel tempo, fino ad assumere l’aspetto di una vera e propria valanga. Se é difficile, ma possibile, trovare ed attuare rimedi quando questi segnali sono ancora marginali, fermare la valanga é semplicemente impossibile. Si fermerà solo quando avrà distrutto tutto.
                Uno dei segni più caratteristici, e dolorosi, é costituito dai così detti fallimenti secondari. In parole povere, non me ne vogliano gli Amici economisti se banalizzo e semplifico, società ragionevolmente prospere e ben guidate vanno incontro a severe illiquidità, pur essendo ancora solvibili. Causa principale di questa illiquidità é la cessazione od il rallentamento dei pagamenti. In altre situazioni, l’isterilimento di un mercato prima prospero. Si determina così una catena di Sant’Antonio, per cui ogni impresa che fallisce per questo motivo determina, seppure involontariamente, il fallimento dei suoi fornitori, a loro volte imprese ancora sane e ben guidate.
                Si forma così una reazione a catena che non sembrerebbe mai aver fine, e che comporta severi oneri sociali. Ogni ditta fallita mette sul lastrico i proprietari, ma con loro anche tutti i suoi dipendenti. L’impresa scompare dai ruolini dell’Agenzia delle Entrate, da cui ridotto introito fiscale e tributario, ed i dipendenti rimasti senza lavoro perdono ogni ragionevole capacità di spesa, al di là della mera sussistenza, da cui riduzione della domanda interna.
                Se ai fallimenti secondari aggiungiamo il nefasto effetto di quelli primari – ossia le vere e proprie bancarotte – il degrado del tessuto produttivo diventa estremamente chiaro nella sua drammaticità.
                Qui il problema non si configura tanto in una questione di sola liquidità. Il problema non é risolvibile solo ricorrendo ad un credito bancario, sia pure facilitato. Non serve che a ben poco iniettare ulteriore liquidità nel sistema.
                La crisi è puramente e semplicemente strutturale.
                Ergo, l’unica cura é agire sulle strutture: si devono curare le cause, non cercare un rimedio agli effetti.
                Nel 2011 sono fallite 11,615 imprese, coinvolgendo direttamente nel loro tracollo oltre centomila dipendenti, più un numero altrettanto severo di riverbero nell’indotto. Ovviamente gli ammortizzatori sociali possono e debbono essere utilizzati al meglio, ma una situazione depressiva non è certo la  condizione ottimale per trovare una nuova collocazione nel contesto produttivo, nemmeno adattandosi. Il problema dovrebbe essere affrontato prima del fallimento, agendo sia sulle imprese sia sull’ambiente in cui operano.
                La legislazione italiana non prevede come crimine economico il ritardato pagamento di beni o servizi già goduti. Il motivo é evidente: il nostro Stato dovrebbe andare immediatamente in galera. Esso infatti ha ancora da onorare oltre novanta miliardi ai suoi fornitori, cifra che dovrebbe essere raddoppiata se si tenesse conto anche delle refusioni fiscali tuttora inevase, a tutti i livelli dell’amministrazione.
                Un’altra considerazione appare evidente.
                Tutti qui in Italia si sciacquano la bocca di sviluppo e crescita.
                Ma ci siamo mai chiesti cosa significhino queste due parole magiche?
                Sviluppo e crescita si concretizzano nell’infondere una reale fiducia nel sistema, e tale fiducia la si ottiene non con le parole, ma semplicemente adempiendo nei tempi e nei modi dovuti ai propri impegni. Sono i fatti che iniettano fiducia.
                Sviluppo e crescita si concretizzano nel lasciare agli imprenditori un ragionevole margine di guadagno.
                Significa fare, e lasciare, arricchire la gente.
               Questo si ottiene semplificando drasticamente le procedure ed adempienze burocratiche e riducendo le imposte entro limiti che consentano una normale vita dell’azienda e de-regolarizzando un mercato del lavoro che non è ingessato: é al rigor mortis. In poche parole: tutto l’opposto di quando stanno facendo i nostri Governanti, e non solo in Italia. L’innalzamento dell’Iva, l’aumento dell’imposizione, diretta od indiretta, e così via, sono quanto di meglio si possa fare per bloccare quello sviluppo e quella crescita che a parole si sarebbero voluti sostenere. Sono un vero e proprio omicidio volontario del sistema economico.
                Queste manovre danno l’illusione momentanea di aver fatto bottega, ma conducono invariabilmente alla depressione. E se passano un certo livello di soglia, come adesso sembra proprio stia accadendo, conducono diritti verso la Nuova Grande Depressione.
                Questa é e sarà caratterizzata dalla pura e semplice impossibilità di sopravvivenza delle imprese, da cui fallimenti a catena, con un processo che si auto-sostiene e si auto-sosterrà fino a quando il Governo, questo o quello che gli succederà, non cambierà registro. Ma non ci si illuda.
                Nel contesto depressivo, in cui nessuno si fida dell’altro, e in cui il denaro ha quasi cessato di circolare, parlare di ripresa, sviluppo o crescita diventa irrealistico: una vera e propria presa in giro.
                Da ultimo, ma non per ultimo, una considerazione che tutti dicono sia banale ma che sembrerebbe proprio essere assolutamente irreperibile nella testa dei nostri Governanti, Sindacalisti, e, direi, della stragrande maggioranza dei nostri Concittadini.
                L’Italia è un Paese che non ha materie prime, se non in quote economicamente irrilevanti. Di conseguenza, per vivere deve importare materie prime, dispiegare il proprio ingegno nel trarne dei manufatti che poi esporta a rapporti prestazioni/costi competitivi sui mercati mondiali. E’ ovvio che il discorso si applica anche alla produzione dei beni immateriali, ma l’apporto di codesti beni al giro d’affari totale é molto basso.
                Quindi i capisaldi sono: gelosa cura nel preservare e migliorare costantemente i know-how per tenere i prodotti allo stato dell’arte, e filiera lavorativa economica e funzionante senza alcun collo di bottiglia, il cui onere non può essere determinato sulla base di ideologie od idee preconcette, ma su quanto il mercato globale ci consente.
                Se si ripensa in modo approfondito su quest’ultimo enunciato, si capisce fin troppo bene perché stiamo andando diritti diritti verso la Nuova Grande depressione.
 gsm
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