La Nuova Grande Depressione. 02. Oggi. Pil e Ricchezza delle Famiglie.

Giuseppe Sandro Mela

                 Il concetto di ricchezza di una collettività o dei suoi componenti è quanto mai ampio, variegato e soggetto a variazioni nel tempo. Di per sé, infatti, un bene oppure un servizio ricevono la stima corretta del loro valore nel momento e nel luogo ove avviene la transazione. Così, un bene od un  servizio molto valutato in una zona può essere considerato di poco valore in un’altra, oppure apprezzarsi o deprezzarsi nel tempo.

                A ben pensarci, se di primo acchito si può restare sconcertati che un qualcosa non abbia un suo valore intrinseco, costante nel tempo, questa disparità di quotazione é proprio alla base del commercio, inteso nel suo senso più lato. Il mercante compra in una certa zona una merce lì di basso costo, la trasporta e quindi la rivende in un’altra zona ove il suo valore è maggiore; se compra quantità differenti innesca economie di scala che modificano il prezzo del prodotto. Oppure acquista un bene in un certo tempo per rivenderlo dopo, quando le quotazioni siano risalite. Con lo stesso metro possiamo immaginare sia regolata la produzione: un bene prodotto a poco viene rivenduto in altro tempo e luogo ricavandone un guadagno.

                Quando si prendono in considerazione grandi numeri, come nel caso di un paese popoloso, il sistema tende verso un suo equilibrio, cosa che consente di concepire degli indicatori medi generali dei guadagni. Sarebbe ingenuo pensare che possa esistere un indicatore perfetto: dobbiamo puntare soprattutto ad avere a disposizione indici facilmente misurabili, così almeno da ridurre l’errore insito in ogni determinazione.

                Si faccia molta attenzione. La media aritmetica é forse l’indicatore di tendenza centrale più utilizzato in econometria. Essa tuttavia rappresenta bene la serie da cui proviene se questa é simmetrica attorno la media. Tuttavia, la quasi totalità delle serie di dati econometrici presentano distribuzioni che hanno elevati indici di asimmetria (skewness) e curtosi, con picchi di frequenza lateralizzati e lunghe code controlaterali. Sarebbe quindi più aderente alla realtà utilizzare dei percentili. Un caso classico é la rappresentazione di una distribuzione di Pareto, ove considerare i percentili diventa d’obbligo. In molti casi, poi, i dati sono addirittura discreti. Vedremo nel seguito quanto siano importanti queste considerazioni.

                In estrema sintesi, la ricchezza di una collettività si basa sia sulle eventuali risorse naturali disponibili, sia sulla capacità dei membri della collettività di lavorare le materie prime, disponibili in loco oppure importate, dispiegando sia nel concepimento del lavoro sia nell’abilità in sede di progetto ed esecuzione di un qualche manufatto o derivato della materie utilizzate. Talora, come nei servizi, il bene concepito e prodotto é immateriale.

                Sempre nei grandi numeri, rimane facile concepire la formazione della quotazione come un equilibrio raggiunto tra domanda ed offerta: più un bene o servizio è ricercato maggiore sarà il suo costo, e viceversa: si noti però che beni che hanno succedanei oppure beni di ostentazione seguono modelli differenti. Domanda ed offerta interagiscono in un equilibrio dinamico: una certa domanda genera la messa a disposizione dell’offerta, esattamente come un certa quale offerta può determinare l’insorgenza della domanda di quello specifico bene.

                Esattamente come ogni attività economica é fonte di guadagno quando i ricavi superano stabilmente i costi, così per una nazione le esportazioni dovrebbero almeno essere pari alle importazioni, meglio se superiori.

                La situazione dell’Italia appare evidente e semplice alla luce di quanto detto.

                Non disponendo di risorse naturali, deve importare, generare dei manufatti e quindi esportarli a livello competitivo. Il nostro nodo si concretizza quindi sia nel curare la genialità e l’inventiva produttiva, sia nel mantenere la filiera produttiva economica, ossia in grado di reggere la concorrenza. Questo piaccia o meno. Può seccare che di estate faccia caldo e di inverno faccia freddo, ma questo ciclo climatico non può essere cambiato od invertito.

                Si faccia attenzione: qui non si sta minimamente dicendo che l’unico punto da risolvere sia la diminuzione del costo del lavoro riducendo i salari. Si sta dicendo che il lavoro dovrebbe essere considerato, e quindi razionalizzato, nel suo insieme. Di seguito riportiamo alcuni punti critici il malfunzionamento dei quali genera oneri insopportabili:

                a. la burocrazia, che obera di lavoro inutile e genera ritardi nella produzione;

                b. la pletora legislativa, che dovrebbe essere rimediata con testi unici di inequivocabile chiarezza;

                c. la giustizia civile, che dovrebbe poter dirimere le controversie in tempi dell’ordine dei mesi, non degli anni;

                d. le infrastrutture, che creano il contesto propizio alla produzione;

                e. la criminalità organizzata, che soffoca anche la sola possibilità di produrre;

                f. la legislazione sul lavoro, che impedisce la normale vita aziendale, di nascita, sviluppo ed anche morte;

                g. la fiducia che i governanti si guadagnano solo osservando gli impegni presi;

                h. l’istruzione, settore in cui lo Stato ha sempre fatto investimenti limitati e quasi nessun controllo di qualità.

                Poiché il bilancio consiste nella valutazione sia dei ricavi sia dei costi, non può essere dimenticato che una sana e sostenibile gestione prende luogo solo quando i ricavi superano i costi. Quindi, se l’aumento dei ricavi deve essere perseguito con ogni possibile sforzo, la riduzione dei costi é altrettanto mandatoria. Questo concetto ben si attaglia anche al bilancio della Collettività.

                § 1. Definizioni.

                Il Prodotto Interno Lordo (PIL, in inglese gross domestic product o GDP) esprime il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all’interno di un Paese. Usualmente é calcolato su base trimestrale ed annuale. Il Pil concerne beni e servizi destinati ad usi finali, quali consumi finali, investimenti, esportazioni nette; non viene quindi conteggiata la produzione destinata ai consumi intermedi, che rappresentano il valore dei beni e servizi solo consumati e trasformati nel processo produttivo per ottenere nuovi beni e servizi.

                «Come ogni misurazione economica, il PIL può essere misurato in termini reali o termini nominali. Misurare il PIL in termini nominali vuol dire misurarlo nel suo valore espresso in moneta attuale, esprimerlo in termini reali vuol dire depurarlo delle variazioni dei prezzi dei beni prodotti. Dividendo il PIL nominale per il PIL reale si ottiene un indice chiamato “deflatore del PIL”.» (Fonte: Wikipedia).

                § 2. Prodotto Interno Lordo italiano.

                 La seguente Tabella riporta lo storico a prezzi correnti del prodotto Interno Lordo italiano. 

1970
1980
1990
2009
0
35,267
203,383
701,352
1,191,057
1
38,486
243,632
765,806
1,248,648
2
42,155
287,552
805,682
1,295,226
3
50,911
334,833
829,758
1,335,354
4
64,586
382,831
877,708
1,391,530
5
73,976
429,649
947,339
1,429,479
6
93,078
475,031
1,003,778
1,485,377
7
113,100
519,651
1,048,766
1,546,177
8
133,048
577,455
1,091,361
1,567,851
9
162,759
634,021
1,127,091
1,520,870

                Come si constata, dopo il 2006 il Pil a prezzi correnti ha smesso di crescere, decrescendo invece se si tenesse conto dell’inflazione.

                Nella seguente Tabella riportiamo principali aggregati di finanza pubblica dal 2007 al 2010 compreso. Il Pil 2011 é stimato essere un poco inferiore a quello del 2010. Come si constata, il Pil non è sostanzialmente variato nell’arco di questi quattro anni, ed adesso le stime per il 2012 parlano di una contrazione del 2 o 3%. Questi dati dovrebbero però essere letti anche alla luce di altri fenomeni: in primo luogo di una costante diminuzione del potere di acquisto della nostra valuta per l’inflazione, in secondo luogo il deterioramento dell’appetibilità verso i prodotti nazionali, in terzo luogo per l’aumento dei costi finali conseguenti agli incrementi delle aliquote iva.

Anno
2007
2008
2009
2010
Indebitamento netto PDE
-25,273
-4,272
-82,957
-71,999
Debito pubblico
1,602,107
1,666,584
1,763,629
1,842,826
Interessi passivi PDE
77,452
81,312
70,409
7,017
Saldo primario
52,179
38,592
-12,548
-1,829
PIL
1,554,199
1,575,144
1,526,790
1,556,029

                 L’Istat riferisce per il 2011 questi valori trimestrali del Pil. T1: 392.939, T2: 395.108, T3: 395.825 mld. Potremmo inferire un valore annuale nominale di 1,578.496 [4*(392.939 + 395.108 + 395.825)/3], ossia 1,531 mld di Pil reale.

                La seguente Tabella scorpora le voci che determinano il Pil. L’aspetto che più colpisce é lo scarso apporto delle società non finanziarie (46.07%), che per di più é prodotto per quasi il 70% nella parte nord del paese. Esso indica un grave stato di sofferenza del sistema produttivo, perché, parlando senza perifrasi, senza industria manifatturiera efficiente un Paese di sessanta milioni di persone non può pensare di sopravvivere a lungo.

2010: Prodotto Interno Lordo / Valore Aggiunto Lordo
Tipologia
mln euro
%
Società non finanziarie
716,821
46.07
Società finanziarie
69,011
4.44
Amministrazioni pubbliche
212,773
13.67
Famiglie e ISP (Riportate ma non sommate)
396,613
Famiglie produttrici
256,652
16.49
Famiglie consumatrici
135,895
8.73
ISP
4,066
0.26
Importi non ripartiti
160,810
10.33
Totale
1,556,028
100.00

                Questi dati italiani sono coerenti con quelli europei. Nel novembre 2011 la produzione industriale europea é scesa del -2.7% rispetto al valore anno/anno, mentre, per esempio, quella spagnola ha accusato un brutto -7%. Ne consegue che per il 2012 anche il Pil europeo sarà in contrazione. fatto che deprimerà ulteriormente quello dei Paesi maggiormente in difficoltà.

                Dopo un balletto di cifre, recentemente l’FMI ha preso atto della realtà, prevedendo un -2.2% nel 2012 ed un -0.6% nel 2013 per il Pil Italiano. Aspettativa stravagantemente ottimista, perché non tiene conto né dell’inflazione tendenziale stimata al 3% né degli effetti dei progressivi determinarsi degli effetti delle ripetute manovre economiche. La stima più realistica potrebbe essere un -5.7% per il 2012. 

                 § 3. Import/Export.

                Questa Tabella mette in evidenza un calo generalizzato dell’import/export, di portata tale da non lasciare molti dubbi nel definirla depressiva. Anche perché la situazione 2010 e 2011 (qui non riportate per semplicità espressiva) é consistentemente peggiore. Si noti come nel 2009 la Cina abbia conquistato la prima posizione mondiale per l’export. Tutti i Paesi occidentali dimostrano variazioni anno/anno in forte decrescita, ma Francia, Canada, Gran Bretagna e Stati Uniti evidenziano saldi nettamente negativi, situazioni non sostenibili sul medio-lungo termine. In Tabella sono riportate le variazioni percentuali solo per i saldi ancora attivi. 

2008
2009
Import
Export
Saldo
Import
Export
Saldo
Var %
Cina
766
1,351
585
713
1,137
424
-27.6
Germania
811
1,233
422
648
937
290
-31
Giappone
365
706
341
296
518
222
-35
Corea del Sud
245
373
128
195
329
134
4
ltalia
365
458
93
273
340
67
-28
Francia
505
469
-36
407
370
-37
Canada
308
235
-73
247
170
-77
Gran Bretagna
445
334
-111
342
259
-83
Stati Uniti
1,463
995
-468
1,150
741
-409

                Un altro dato per tutti: il Baltic Dry Index quotava il 24 gennaio 841, contro il 2,161 del 25 ottobre dello scorso anno: é un segno poco rassicurante assistere ad un crollo dei noli di questa portata, perché il settore non può lavorare in perdita a tempo indefinito.

                § 4. Ricchezza delle Famiglie.

                Bankitalia stima che alla fine del 2010 la ricchezza lorda delle famiglie italiane fosse pari a circa 9,525 miliardi di euro. Ciò significa circa 400,000 euro per ognuna dei 23,812,500 nuclei famigliari. 4,590 mld (48.19%) sono allocati nel patrimonio abitativo, il cui valore nominale risulta incrementato dell’1%, ma diminuito dello 0.5% in termini reali, rispetto all’anno precedente

                La ricchezza lorda delle famiglie italiane é costituita da 5,925 mld (62.2%) di attività reali e 3,600 mld (37.8%) di attività finanziarie, diminuite dello 0.8% rispetto all’anno precedente.

                Dal 2000 al 2011 la percentuale di italiani che ha asset non finanziari (per la gran parte si tratta di immobili) é passata dal 52.7% al 62.2%.

                In accordo con la Legge di Pareto, il 10% dei nuclei familiari più ricchi possiedono 4,286 mld, ossia il 45% della ricchezza complessiva, mentre la metà più povera delle famiglie italiane detengono il 10% cento della ricchezza totale, ossia 953 mld.

                Così, gli italiani hanno una ricchezza eguale ad 8.3 volte il loro reddito disponibile, stimato a 1,148 mld, contro l’8 del Regno Unito, il 7.5 della Francia, il 7 del Giappone, il 5.5 del Canada e il 4.9 degli Stati Uniti. Questa stima risulta essere parecchio ottimista per quanto riguarda l’Italia (vide infra): non solo, il fatto che 4,590 mld siano immobilizzati nel patrimonio abitativo difficilmente liquidabile e verosimilmente molto sovrastimato (si pensi alla crisi dei subprime), fa diminuire a 4,935 mld la ricchezza disponibile per ripianare i debiti.

                Le famiglie risulterebbero indebitate per 941 mld (82% del reddito disponibile), mentre in Francia e in Germania è di circa il 100%, negli Stati Uniti e in Giappone é del 130%, e nel Regno Unito del 170%.

                Sono numerosi i segni che indicano una profonda depressione.

                La domanda di mutui é crollata nel dicembre 2011 del -41% m/m, mentre l’anno 2011 si chiude con un calo del 19% a/a. Non solo, successivamente la domanda é ulteriormente diminuita a seguito della severa contrazione del credito. Nel 2011 sono state immatricolate 1,748,143 nuove auto, in calo del 10.88% rispetto alle 1,961,579 immatricolazioni del 2010. Per la Fiat nel 2011 il calo è del 13.8%, passando a 515mila da 598mila: di conseguenza, anche il suo fatturato scenderà in eguale misura, così come il suo contributo fiscale. Ne conseguiranno anche riduzione del personale e calo omologo dell’indotto.

                Un indice di severa depressione è costituito dai movimenti dei fondi di investimento. Il patrimonio attuale ammonta a 937 mld, 476 in capo alle gestioni di portafoglio e 461 alle collettive. Il dato a/a mostra un calo di -40,8 miliardi: i fondi aperti e chiusi hanno perso 6 mld (-30.1% a/a), quelli di portafoglio (retail e istituzionali) hanno perso 3.6 miliardi (-10.2% a/a). I monetari hanno perso -12.5 mld, gli obbligazionari -8.8 mld, gli azionari -4.1 mld, i flessibili -3.9 mld. Nel 2008 le perdite dei fondi assommavano a -140 mld. Questi dati indicano non solo un riposizionamento degli investimenti, ma soprattutto una pesante smobilitazione cui non corrisponde impiego in altri settori: le famiglie erodono il risparmio per vivere.

                Un dato interesse generale. Nel gennaio 2009 in media la benzina costava 1.152 ed il gasolio 1.085. Nel gennaio 2010 quotavano 1.269 e 1.094, rispettivamente. 1.390 ed 1.270 nel gennaio 2011 per attestarsi a 1.665 ed 1.630 ai primi di gennaio 2012. In tre anni il prezzo della benzina é passato quindi da 1.152 a 1.665 euro/litro (+30.81%) e quello del gasolio da 1.085 a 1.665 (+32.88%). Le ripercussioni di questo aumento dei costi sul consumo interno sono evidenti.

                Da ultimo, ma non per ultimo, si pensi a quanto profondamente é mutato il Prêt-à-Porter, uno dei classici indicatori di stato dell’economia.

                Altrettanto severi sono gli indicatori rilasciati da Bce. Il tasso di crescita del credito bancario al settore privato e’ sceso all’1% a/a, mentre quello del credito alle famiglie al -2.1% a/a. Il tasso di crescita annuale dei prestiti alle imprese e’ cresciuto dell’1,1% m/m. I prestiti fino a 12 mesi, quelli che finanziano il capitale circolante, sono saliti del 2.5% rispetto al 3.9% del mese precedente, ma quelli da 1 a 5 anni hanno una netta  flessione pari a -3.6% .

                La tripletta delle manovre fiscali 2011 hanno determinato un aumento strutturale delle tasse per circa 76-80 mld euro, per cui la domanda interna sarà conseguentemente ridotta, da oggi in poi, di tale non trascurabile cifra.

                I recenti scioperi dei trasporti hanno inoltre messo in luce il fatto che molti settori strategici riescono ancora a reggere per il semplice motivo che, mentre le strutture ordinarie hanno una filiera lavorativa in cui i ricavi non coprono i costi, esiste un florido mercato nero, che sopravvive per il semplice fatto che sfugge al fisco. E’ proprio grazie a questo mercato nero che molte aziende riescono ancora ad abbattere i costi ed a rimanere tuttora sul mercato. Si dovrebbe essere molto più cauti nell’esprimere giudizi su questo aspetto, specie quelli tranchant.

                La presenza di un fenomeno depressivo é ben evidenziata dal cambio delle abitudini nell’approvvigionamento, specie degli alimentari. Gli hard discount offrono in media merci al 31% in meno dei supermercati. Le vendite mostrano, nel confronto a/a un calo dei negozi non food (-6,6%), flessioni degli ipermercati (-2.7%), con incremento  dei discount alimentari (+1.5%). Questi ultimi, nella seconda settimana di questo gennaio, hanno evidenziato un +7.5% delle vendite, a fronte di un +0.8% di iper e super.

                Questi dati meriterebbero un approfondimento e ripensamento, sia sull’abnormità del carico fiscale, sia sulla necessità di un mercato nero e di una sistematica evasione fiscale per la sopravvivenza della Nazione. E’ difficile vivere di ipocrisie.

  

                § 5. Le previsioni errate.

                I dati forniti mettono chiaramente in evidenza quanto fossero errate le previsioni fatte anche da studiosi o Istituzioni che sono solitamente etichettate come “autorevoli“.

                Non più tardi del giugno 2010, Confindustria prevedeva un Pil in crescita dell’1.2%, stimando quello del 2011 a +1.6. Non stupisce tanto il pacchiano errore previsionale, quanto piuttosto il fatto che si conceda ancora credito a questa Istituzione.

                Non che il Fondo Monetario Internazionale sia da meno. Nel settembre dello scorso anno stimava per l’Italia un Pil 2011 a +0.8%, con un buon +0.7% per il 2012. Solo in questi giorni l’FMI ha preso atto della realtà, prevedendo un -2.2% nel 2012 ed un -0.6% nel 2013, con conseguenze severe sul rapporto debito/Pil, che é adesso stimato al 121.4% per il 2011, al 125.3% per il 2012, ed al 126.6% per il 2013.

                A molti sembrerebbe sfuggire che al calo dell’1% del Pil ne consegue una manovra aggiuntiva del valore di circa 15.5 mld, manovra che si aggiunge a quelle precedenti. Un errore del 3% (+0.8% e -2.2%) é un errore che costa al Contribuente qualcosa come 46.5 mld.

                Nel febbraio 2011 il Ministero delle Finanze tedesco si attendeva una continuazione della ripresa dell’economia in Germania, con un Pil pari a  +2.3%, seguito da un +1.8% nel 2012. Poco dopo, «Il Governo tedesco ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita per il 2012 allo 0.7% rispetto al precedente 3.11%, precisando, però, che non ci sono timori di recessione per la prima economia europea e che spera in un balzo dell’1.6% nel 2013.»

                Con un brusco calo degli ordini manifatturieri a novembre (-4.8%) ed una calo di quelli esteri del – 7.8%, la Germania non guarda certo al futuro con allegria..

                Forse si lavorasse un po’ di più e si facessero un po’ meno previsioni stravaganti non sarebbe poi un gran male.

                § 6. Alcuni dati europei.

                La Spagna chiude il quarto trimestre 2011 con una crescita in calo dello 0.3%, ed il Pil 2012 scenderà dell’1.5%: il paese tornerà quindi in recessione. Il Governo Zapatero aveva previsto un aumento del 2.3%. Nel 2012 il

disavanzo si impennerà all’8%, oltre il previsto 6%. Di conseguenza, aumenterà il debito sovrano. La disoccupazione é in aumento al 23.4 per cento.

                Il Governo tedesco ha rivisto le previsione del Pil 2012 da un iniziale +3.1% all’attuale stima dello +0.7%. Ma anche questo dato appare una pia illusione: nel 2011 i prezzi alla produzione sono aumentati del +5.7% su base annua, con un aumento dell’energia del +10.6%, e per il 2012 le previsioni sono consistentemente peggiori.

                § 7. Considerazioni.

                Questi dati evidenziano uno stato oramai depressivo della situazione economica mondiale. In tale contesto anche una nazione particolarmente virtuosa non potrebbe non esserne contagiata:  pur producendo allo stato dell’arte ed a costi competitivi non troverebbe acquirenti negli altri stati con sistemi economici compromessi.

                A maggior ragione, Stati come l’Italia, nei quali l’economia è in contrazione, incontrano, e sono destinati ad incontrare in modo sempre più brutale, un rallentamento degli scambi sia con l’estero sia interni.

                La stagnazione economica, accompagnata a depressione del sistema globale e locale, comporta almeno tre fenomeni.

                In primo luogo, tutte le produzioni fragili, o non più a livello dei tempi per qualsivoglia ragione, sono destinate alla liquidazione oppure al fallimento. Questo fenomeno non è del tutto negativo, perché estromette a forza dal sistema le unità produttive obsolete e non più in grado di competere sul mercato. Non si può d’altra parte misconoscere la portata sociale ed anche potenzialmente politica di tale fenomeno.

                In secondo luogo, la ridotta fiducia nel sistema unitamente all’ingravescente stagnazione del mercato conducono alla liquidazione od al fallimento anche delle unità produttive si per sé stesse sane, ma che non trovano ulteriormente acquirenti delle loro merci. Questi fallimenti secondari non solo distruggono fonti potenzialmente produttrici di reddito e posti di lavoro: la cosa peggiore é che distruggono e disperdono il know-how produttivo, rendendo sempre più remota una possibilità di ripresa.

                In terzo luogo, si forma una involuzione auto-sostenuta: più aumentano liquidazioni, fallimenti e licenziamenti, e più diminuisce la domanda interna, che si focalizza solo sui beni di sussistenza. La diminuzione della domanda determina a sua volta ulteriori liquidazioni e fallimenti, sostenendo un perverso circolo vizioso. Disgraziatamente, la storia sociale ed economica insegna che questi processi involutivi, una volta avviati, si fermano solo a completa distruzione avvenuta.

                In quarto luogo, gli italiani si apprestano a dover sostenere la depressione in una chiara situazione di debolezza ed ignoranza. La crisi demografica all’inizio determinerà una percezione dell’entità della depressione minore rispetto a quanto sarebbe obbiettivamente corretto, ma nel medio-lungo termine ostacolerà in modo particolarmente severo ogni possibilità di ripresa. Non solo, con l’allungamento dell’attesa di vita, si ingigantirà in modo anomalo il rapporto anziani/persone in età lavorativa, incrementando la spesa sanitaria in modo asimmetrico. Gli anziani richiedono infatti una grande quantità di personale di assistenza che, passato l’apice della crisi (ossia quando per morte più o meno naturale il numero degli anziani sarà ridotto), sarà in vistoso esubero. Non solo, ma il personale assistenziale è un onere non produttivo. Il caso russo dovrebbe essere meditato profondamente.

                Non si sconcerti il Lettore di quanto sopra detto: un articolo economico parla di economia. Ciò appurato, non é però possibile ignorare il marasma sociale ed i drammi umani che verranno vissuti.

                In quinto luogo, metà della ricchezza degli italiani è immobilizzata in immobili, il mercato dei quali è destinato ad una depressione ancor più marcata dell’economia generale perché subirà sia la stagnazione sia gli effetti della diminuzione della domanda causata dalla denatalità. E’ quindi facilmente intuibile che questo patrimonio riceve una valutazione meramente formale ed ampiamente sopravvalutata. Più la depressione prenderà piede e meno gli immobili saranno quotati e transabili, illiquidi. Per questo motivo il rapporto ricchezza delle famiglie / reddito disponibile dovrebbe essere realisticamente letto non come 8.3, ma come cinque, a voler essere larghi. Nelle crisi, ed a maggior ragione nelle depressioni, contano solo i beni liquidi.

                In sesto luogo, é credenza diffusa quanto fallace che le depressioni si risolvano iniettando liquidità nel sistema. Ciò é solo parzialmente vero, anche perché questa liquidità non circola e genera il presupposto per un processo inflattivo di severa portata. All’inizio delle depressioni questo fenomeno stenta a farsi riconoscere, per il semplice motivo che il danaro non circola. Ma al minimo segnale di ripresa questo significativo surplus monetario scatena spike inflattivi che soffocano ogni tentativo sul nascere. Si delinea così una stagflazione.

                In settimo luogo, inizia ad evidenziarsi un fenomeno tipico delle depressioni severe. L’aumentata pressione fiscale e tributaria, l’illanguidimento della domanda interna ed esterna, tensioni e torbidi sociali che portano ad interrompere la produzione per deficit di approvvigionamenti, la difficoltà e l’onere del ricorso al credito, unitamente ad un’elevata inflazione de facto porta un gran numero di aziende a veder sempre più ridotto il margine di guadagno. Se in questa evenienza i rendimenti dei titoli, domestici oppure esteri, supera quello dell’azienda ne consegue che è più vantaggioso liquidare l’attività ed investire in titoli il ricavato. In altri termini, tutte le attività che rendono meno dei titoli tendono a scomparire, e con esse la relativa tassazione ed occupazione.

                In ottavo luogo, si tenga conto che i dati e le considerazioni fatte prescindono da un default greco e portoghese, la dove con il termine default indichiamo una generica insolvenza, indipendentemente dalla sua tipologia.

                In nono luogo, ricordiamo che l’analisi dei ricavi non può prescindere da quella dei costi, che per questioni di spazio sarà affrontata in dettaglio nella prossima puntata di questa serie.

                § 8. Conclusioni.

                Gli indici econometri attestano come il mondo occidentale, ma soprattutto l’Europa e l’Italia in particolare siano già entrati in una Nuova Grande Depressione. Questo è ovviamente solo l’inizio: il peggio verrà tra breve tempo.  

                Ringraziamenti.

                Pur essendo l’Autore il responsabile di quanto riportato, nel bene e nel male, é doveroso ringraziare le numerose persone  che hanno consentito di migliorare nella forma e nella sostanza questo post, e che elenco uno per uno in ordine alfabetico, omettendo i titoli: Baudo Giovanni, Blondet Maurizio, Callegari Mario, Frisiani Duccio, Girardi Otello, Rebuffo Paolo e Rossi Andrea. Auguro di cuore a tutti i Lettori di poter avere vicino degli Amici così preparati e di così grande dimensione umana.

                Nota.

                Questo post é il secondo di una serie articolata per argomenti sulla Nuova Grande Depressione.

– La Nuova Grande Depressione. 01. Oggi. Demografia.

– La Nuova Grande Depressione. 02. Oggi. Pil e Ricchezza delle Famiglie.

– La Nuova Grande Depressione. 03. Oggi. Il Debito Sovrano ed Aggregato.

– La Nuova Grande Depressione. 04. Oggi. Occupazione e Lavoro.

gsm
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